The Matrix Resurrections #2

Ritornare nella caverna. Un itinerario filosofico dentro la matrice


Proseguono le riflessioni sul film The Matrix Resurrections di Lana Wachowski, uscito nelle sale cinematografiche in Italia il 1 Gennaio 2022. L’articolo contiene anticipazioni sul film ed è il secondo di tre.


L’effetto sciame digitale

Un libro pubblicato nel 2013 di uno tra i filosofi oggi più noti, Byung-Chul Han, si intitola Nello sciame. Non sappiamo se la regista Lana Wachowski abbia obbligato gli attori di The Matrix Resurrection a leggere questo testo, come aveva fatto in precedenza con Out of Control: The New Biology of Machines, Economic and Social Systems (Basic Books, New York 1992) di Kevin Kelly, il giornalista co-fondatore della rivista “Wired”. Sarebbe interessante scoprirlo, perché in effetti di swarm si parla anche in The Matrix Resurrection, in un modo che non si discosta dall’essenza del dettato di Han, ma che anzi pare esserne la felice trasposizione nel medium del cinema. Scrive infatti Han che 

lo sciame digitale non è una folla, poiché non possiede un’anima, uno spirito. L’anima raduna e unisce: lo sciame digitale è composto da individui isolati. La folla è strutturata in modo totalmente diverso: ha caratteristiche che non vanno attribuite ai singoli. I singoli si fondono in una nuova unità, all’interno della quale non dispongono più di un proprio profilo

Byung-Chul Han, Nello sciame. Visioni del digitale, tr. it. di F. Buongiorno, nottetempo, Milano 2015, p. 22.

Se la folla è la modalità di aggregazione propria dell’epoca delle masse, lo sciame è la forma del collettivo dell’epoca digitale: non un gruppo coeso, aggregato sulla base di principi condivisi, e nemmeno, per suo tramite, si dà la generazione di una entità sovra-individuale. Al contrario, i singoli restano tali, frammenti separati di un tutto che non sopraggiunge per compattarli in una compagine uniforme. La scena finale del combattimento che vede Neo e Trinity scontrarsi contro un ammasso di gente resa ‘sciame’ dall’ordine impartito loro dall’Analista è emblematica: questi uomini e donne non si conoscono, non condividono alcun ideale, non si uniscono per una causa comune, ma, nel rimanere distinti, all’unisono reagiscono a un diktat ciecamente – quando ci si trasforma in sciame gli occhi smettono di vedere e divengono interfaccia dell’ormai classico codice binario verde su sfondo scuro, immagine distintiva dell’intera saga. 

Fuor di metafora, qualcosa di molto simile accade quando si verificano i fenomeni di odio online: gli utenti si coalizzano contro qualcosa e scagliano parole come pietre contro il bersaglio di volta in volta individuato, anche se a questo non corrisponde un sentire comune che permetta di ricomprendere il gesto in un orizzonte di senso più ampio. Un significato più ampio del gesto in effetti non c’è e quello che si poteva pensare nei termini di un gruppo si sgretola con la stessa facilità con la quale si è formato nel momento in cui si passa a giudicare e infervorarsi per un’altra questione. Le stesse persone qualche momento prima coalizzate possono così facilmente ritrovarsi questa volta una contrapponendo feroce disprezzo all’isterico entusiasmodell’altra. Come in uno sciame, le correnti che si generano si caratterizzano per essere effimere e transeunti, movimenti che vanno e vengono in un flusso di imprevedibilità che ne fa perdere presto le tracce e ne ostacola la comprensione – sociale, filosofica o umana che sia.

L’effetto sciame a cui assistiamo in The Matrix Resurrection è interessante per almeno anche un’altra ragione: nel corso del film il personaggio dell’Analista sostiene infatti di aver compiuto un passo avanti rispetto all’operato dell’Architetto che lo ha preceduto nella predisposizione della realtà digitale, perché, invece di creare degli agenti di controllo del sistema (il più famoso dei quali è senza dubbio lo spietato agente Smith), egli avrebbe proceduto a modificare il comportamento degli avatar umani, ottenendo con ciò il doppio vantaggio di risparmiarsi la fatica di creare un codice ad hoc per i sorveglianti e di esercitare un controllo diretto sulle menti degli uomini. Questo cambio di direzione è cruciale e ci fornisce un ulteriore elemento di comprensione del tempo in cui viviamo. Pensiamo al mondo come a un luogo reso sempre più efficiente dalle macchine, ma in realtà non siamo ancora abbastanza consapevoli del fatto che, a fronte della loro diffusione, siamo noi che ci stiamo adattando al loro modo di funzionare e non viceversa. Questa tesi è sostenuta anche da Luciano Floridi, quando scrive che

stiamo cablando o, piuttosto, avvolgendo il mondo

L. Floridi, La quarta rivoluzione, tr.it. di M. Durante, Raffaello Cortina, Milano 2017, p. 164.

Il lessico non è quello che ritroviamo nella sceneggiatura di Wachowski-Mitchell-Hemon, ma il concetto è condiviso: siamo al servizio delle macchine, sotto il loro controllo. Caduta l’illusione di poterle rendere uno strumento piegato alle nostre esigenze, nel XXI secolo ci scopriamo completamente dipendenti da esse, schiavi di una tecnologia senza la quale ci sentiamo completamente perduti. In questo caso vediamo il lato oscuro del superamento della dicotomia uomo-techne di cui abbiamo parlato in apertura: il rischio al quale siamo esposti è infatti quello che nella kinship l’uomo perda la propria identità, che rinunci alla propria natura in favore di un concatenamento che, così, finisce per defraudarlo e assoggettarlo invece che produrre lo sviluppo di un inedito assetto di realtà.

Questo articolo è pubblicato anche su ‘Scenari. La rivista di approfondimento di Mimesis edizioni‘.