Macchine e no

Fabio Grigenti, Le macchine e il pensiero, 2021

Nel libro Le macchine e il pensiero, uscito nel 2021 per i tipi della casa editrice Orthotes, il filosofo Fabio Grigenti tematizza il rapporto tra l’uomo e le macchine, oltre a quello che sussiste tra le macchine e il pensiero. Oltre a ripercorrere alcune tappe cruciali del pensiero otto e novecentesco di Marx, Heidegger, Anders, Jünger e altri, il volume presenta, in apertura ad ogni capitolo, una fenomenologia di alcuni macchinari (il telegrafo, l’escavatrice, la mitragliatrice, la macchina a vapore…) per cui, con dovizia di dettagli, vengono fornite informazioni anche tecniche che, grazie alla chiarezza espositiva dell’autore, permettono al lettore di entrare nella sala operativa del pensiero macchinico, osservandone da vicino gli ingranaggi che ne permettono il funzionamento. 

Angelus Novus

Paul Klee, Angelus Novus, 1920

La macchina viene esplicitamente descritta e trattata da Grigenti come un apparato concettuale e l’ambizione del ragionamento sembra complessivamente essere quella di parlare al presente – un tempo in cui dalle macchine non si può più prescindere – tracciando la genealogia filosofica delle innovazioni tecnologiche occorse negli ultimi tre secoli, dalla prima Rivoluzione industriale nel Settecento a quella informatica del ventunesimo secolo. La postura richiesta al lettore è quindi simile a quella dell’Angelus Novus ritratto da Paul Klee e in seguito concettualizzato da Walter Benjamin. Come noto, il dipinto di Klee presenta la visione frontale di un angelo sospeso nel vuoto, le ali dispiegate e gli occhi ben aperti, che dà l’impressione di venire sospinto indietro da una forte corrente. Benjamin, osservando l’opera, immagina che esso rappresenti l’angelo della storia, un essere che tiene il passo dello scorrere del tempo non tanto proiettandosi di slancio verso il futuro, ma venendo spinto, non potendo farne a meno, verso di esso, con lo sguardo rivolto alle rovine del passato che è già stato. Le macchine e il pensiero segue un andamento simile e propone un’analisi del presente e delle possibilità dell’avvenire attraverso un percorso a ritroso, mostrandoci in questo modo che la coscienza dell’attuale non può che radicarsi nel passato che lo precede e determina.

Giri di viti

Dei molti temi che vengono sollevati nelle pagine di questo libro ne consideriamo uno in particolare, cioè quello delle differenze tra il modo di lavoro dell’uomo da quello della macchina. E partiamo richiamando una delle curiosità storiche con cui Grigenti arricchisce la sua riflessione teorica, rendendola molto piacevole e accessibile anche a un pubblico non accademico: l’origine della filettatura delle viti. Veniamo così a scoprire che ancora a metà dell’Ottocento le misure di questi componenti, imprescindibili per la costruzione di tutte le macchine, erano spannometriche, imprecise e poco rigorose. Solo sul finire del XIX secolo si è proceduto a standardizzarne il calibro e dunque a rendere uniforme, in ogni fabbrica di ogni parte del mondo, la filettatura. L’introduzione di questo modello è apparentemente un dato marginale, ma ha svolto in realtà un ruolo fondamentale di propulsione dello sviluppo macchinico, permettendo un assemblaggio industriale, più rapido, sicuro ed efficiente di quello artigianale. L’episodio è in effetti emblematico di una delle distinzioni più importanti che separano l’uomo dalla macchina. 

Standard… & Poor

Da un lato si profila la natura della macchina, che si perfeziona in misura direttamente proporzionale all’adeguamento a uno standard. Per funzionare al meglio, alla macchina serve uniformità ed omologazione. Dall’altro lato, l’uomo è per natura imperfetto e impreciso, tant’è che per evitare l’incertezza della misurazione fa affidamento su supporti tecnologici e macchinici. L’imperfezione dell’essere umano non riguarda soltanto la sua incapacità a produrre serialmente uno stesso oggetto o anche solo a misurarlo precisamente, ma è parte strutturale della sua natura: egli è, per definizione, irregolare e capriccioso nelle sue volizioni, inetto sul piano della forza, costoso come manodopera, difficile da riparare, bisognoso di un tempo di riposo che le macchine non conoscono, facilmente deteriorabile e dunque fragile e periodicamente da sostituire. Lo standard, che è la parola d’ordine della macchina, rende invece quest’ultima potentissima, veloce, infaticabile e, in termini di produttività, i suoi risultati non sono neanche lontanamente comparabili con quelli di una bottega artigiana, dove il criterio del pressappoco è la chiave della maestria.

Collasso

Eppure, il malfunzionamento della parte più piccola (anche la stessa vite cui abbiamo fatto cenno) può provocare nella macchina il collasso dell’intero dispositivo. Viceversa, l’uomo, che vive nell’errore e nell’imperfezione, ha nella non-oggettività la sua cifra e forse anche la sua risorsa, perché è in grado di funzionare nonostante l’eccesso di qualcosa o il difetto di qualcos’altro, anzi è proprio in questo equilibrio metastabile che vede dischiudersi le sue molteplici possibilità esistenziali. Da tre secoli ci siamo abituati a guardare alle macchine come a degli enti sublimi, in grado di performare una forza smisurata oltre che una accuratezza infinitesimale. Oggi il transumanismo ci prospetta un futuro in cui potremmo forse riuscire ad incorporare la macchina nella nostra biologia, per portarci oltre i nostri limiti e la nostra frustrante imperfezione. Tuttavia, rischiamo così di dimenticarci che nell’errore sta la nostra forza più che la nostra vergogna e che, come viene ricordato anche in un passaggio del libro, per lungo tempo l’uomo è stato inteso come la macchina ideale, l’ideale della macchina, la macchina perfetta, perché impossibile da produrre e riprodurre nella sua singolare unicità.

Questo articolo è stato pubblicato nella mia rubrica ‘Philodiffusione‘ del periodico Loescher ‘La ricerca’.